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EVOLUZIONE SULLA TERRA

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CAT_IMG Posted on 9/6/2010, 16:39     +1   -1
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Le ultime due edizioni del Roland Garros hanno avuto un andamento quasi speculare, almeno dalle semifinali in poi: Soderling, giustiziere dei numeri 1, contro un giocatore dalle caratteristiche almeno in parte simili (Gonzalez e Berdych), e dall’altra il futuro campione contro Meltzer quest’anno e Del Potro nel 2009. Andamento quasi speculare, non identico.
La novità più significativa delle ultime due edizioni è rappresentata dalla presenza in semifinale di almeno due “bombardieri”, giocatori dal fisico poderoso e dal tennis potente. La conferma di Robin Soderling dimostra che non si tratta di un evento casuale, così come i risultati di Del Potro e di “Finalmente-Berdych”. L’avvicendamento si registra a discapito di due categorie di giocatori: gli specialisti della superficie e i Magnifici Quattro (due-tre di essi).
Si possono individuare tre spiegazioni, non necessariamente incompatibili tra loro, delle recenti novità:
a) non esistono più gli specialisti della superficie;
b) il valore del giocatore prevale sulla superficie;
c) esiste un nuovo tipo di specialisti della terra battuta.

Non esistono più gli specialisti della superficie. Ovviamente non si considera Rafael Nadal che, pur essendo il giocatore sulla terra più forte di tutti i tempi, insieme a Borg, se proprio si vuole, ha dimostrato di essere un numero uno anche sul cemento e sui prati inglesi. Gli specialisti, o presunti tali, dovrebbero essere gli Spagnoli, Ferrer e Ferrero in testa, ma ormai devono accontentarsi della gloria sudamericana a Buenos Aires e Acapulco e di quelli europei in cui i primi non partecipano o lo fanno con scarso interesse. In quel caso arrivano regolarmente almeno in semifinale; è il caso di Montecarlo, Barcellona, Estoril e in qualche misura anche di Roma. Madrid, forse per le caratteristiche un po’ anomale e più probabilmente per la vicinanza al Roland Garros, ha avuto fino ad ora il privilegio di una doppia finale tra i primi due del mondo. Forse gli specialisti esistono ancora, ma se così fosse dovrebbe essere vera la seconda ipotesi.

Il valore del giocatore prevale sulla superficie. Era certamente così fino a due anni fa, ora non è più tanto sicuro. Finché tre dei quattro semifinalisti erano Nadal, Federer e Djokovic (e magari anche Davydenko) poteva sembrare che rispetto alla stagione sul duro la terra non apportasse grandi cambiamenti, con i più forti che arrivano in fondo a prescindere dalla superficie, con buona pace dei sedicenti specialisti. Le ultime due edizioni confermerebbero la teoria se Soderling e Berdych riuscissero ad occupare un posto tra i primi cinque in pianta stabile o realizzassero un altro exploit, come successo a Del Potro lo scorso anno, tale da proiettarli definitivamente nell’empireo tennistico. Non è da escludere che ci riescano – lo Svedese almeno in parte c’è riuscito già – ma nel frattempo è lecito pensare a una terza opzione.

Esiste un nuovo tipo di specialisti della terra battuta. Soderling ha confessato che la terra comincia ad essere la sua superficie preferita (il suo miglior risultato negli Slam è altrimenti un quarto di finale a New York), Berdych ha raggiunto qui il traguardo più prestigioso e Del Potro, arresosi a Federer dopo un’entusiasmante lotta, avrebbe potuto vincere a Parigi il suo primo Slam. Fernando Gonzalez, semifinalista nel 2009, è un terraiolo atipico che, pur vincendo molti tornei minori sul rosso, negli Slam è stato finalista solo sul cemento australiano. Il sospetto è che i giocatori dotati di grande potenza possano approfittare, sulla terra rossa, di qualche attimo in più per trovare gli appoggi e scaricare i loro colpi. Una volta messi in campo e, preferibilmente, vicino alle righe, diventa dura arrivarci in ogni possibile mondo. I servizi a 220 all’ora sulle righe sono sempre imprendibili, così come i dritti a tutto braccio che hanno costretto Federer a fare il tergicristallo non solo contro Soderling quest’anno ma anche, come ammesso dallo stesso Svizzero, contro Del Potro nell’edizione 2009. La terra, in buona sostanza, permetterebbe a giocatori non velocissimi di posizionarsi meglio per colpire con tutta la forza quei vincenti che sul cemento, per non parlare dell’erba, non riescono a mettere in campo: il rimbalzo più alto, frutto di improvvidi topspin, risulterebbe un’arma a doppio taglio contro i nuovi specialisti che possono schiacciare la palla dall’alto dei quasi due metri di statura (Soderling, il più basso dei tre, è 1,93; Berdych segue a 1,96 mentre Del Potro sfiora i due metri tondi). Nadal (quasi) sempre escluso, ci mancherebbe.
La vera eccezione a questa regola è sicuramente Andy Roddick, uno che negli ultimi cinque anni sulla terra battuta ha raccolto pochissimo. La sua stagione rossa, quest’anno, è durata appena tre partite, complice una serie di infortuni e la manifesta mancanza di interesse verso la superficie. Tuttavia è lecito avanzare qualche dubbio sulla sua appartenenza al clan dei “bombardieri”. Innanzi tutto c’è una differenza strutturale che balza agli occhi: la statura, appena 188 centimetri, che gli impedirebbe, anche volendo, di colpire con tutta la forza la palla dall’alto verso il basso, specialmente sulla diagonale del rovescio. Certamente la battuta è ancora la sua arma migliore, ma sulla terra viene facilmente neutralizzata in virtù della sua leggibilità e del fatto che non sempre atterra in angoli remoti del rettangolo del servizio, perdendo molta della sua velocità in prossimità dei teloni. Il diritto non è più quello dei primi anni, nonostante gli sforzi di Larry Stefanki, suo coach, di fornirgli una maggiore varietà di soluzioni. In questo tentativo di rendere Andy un tennista più completo, con risultati apprezzabili, specialmente a Wimbledon lo scorso anno, gli ha fatto perdere diversi chili – e magari un po’ di potenza – tanto che l’americano fatica a trovare vincenti che non siano conseguenza diretta o indiretta del servizio. Un tempo, fino al 2005, i colpi vincenti superavano il numero degli ace, oggi invece gioca più lavorato e con minore percentuale di errori, tanto che la sua iscrizione all’esclusivo club dei pesi massimi Soderling, Berdych e Del Potro è quanto meno in pericolo.

Un altro che è danneggiato dalla propria tattica difensivistica è certamente l’Andy scozzese, Murray, le cui caratteristiche non sarebbero tradizionalmente incompatibili col rosso. Eppure non riesce a sfruttare le doti di regolarità e di recupero su cui si ostina ad insistere, rinunciando al tennis d’attacco di cui pure sarebbe capace, più ancora di quel Djokovic incerto fin dai primi incontri. Non è da escludere che le sorprese dell’ultima edizione siano il frutto di un’involuzione di Murray e Djokovic, alle prese con problemi al servizio sempre più preoccupanti e con un processo di maturazione che pare essersi arrestato. Ma l’impressione è che qualcosa sia effettivamente cambiato e che per qualcuno sia giunto il momento di prendere in considerazione un cambio di tattica. O magari di allenatore.
 
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